SENTENZA TRIBUNALE DI FERRARA N. 1131 DEL 16/12/2015

 

L’attrice ha promosso il presente giudizio deducendo di avere stipulato contratto di mutuo fondiario il 18.9.2007 con la BANCA S.P.A. per complessivi euro 100.000,00 e di avere affidato alla SOCIETÀ ALFA la verifica della regolarità delle condizioni previste dal contratto di mutuo.

L’analisi del contratto, sostiene parte attrice, ha fatto rilevare la sussistenza di usura oggettiva pattizia in relazione all’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento della mutuataria.

Il contratto di mutuo prevede a carico del mutuatario, in caso di inadempimento, oltre all’obbligo di restituire la somma ricevuta a titolo di mutuo, il pagamento di una penale commisurata al capitale residuo del mutuo al momento della richiesta di risoluzione del contratto; la somma che ne scaturisce concorre all’incremento del tasso effettivo applicato dalla mutuante, calcolato al momento della richiesta di risoluzione del contratto per inadempimento.

Nel caso di specie, l’attrice ha proceduto ad un calcolo simulato del tasso di interesse che la banca avrebbe potuto applicare, nel caso in cui l’attrice si fosse resa inadempiente sin dalla corresponsione della prima rata del finanziamento, dal momento che il contratto prevede che la mutuante possa chiederne la risoluzione in caso di mancato pagamento anche di una sola rata di rimborso, come risulta dall’art.3 del Capitolato allegato al contratto di mutuo.

Ai fini di tale calcolo, l’attrice ha ipotizzato come data di risoluzione del contratto quella coincidente con il 180° giorno successivo alla scadenza della prima rata, poiché ritiene, in conformità a quanto previsto dall’art.40 co. 2 del TUB, che dopo tale termine il pagamento del mutuatario possa definirsi non solo ritardato ma inadempiuto, legittimando cosi il mutuante da quel momento a chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento e la relativa penale.

In tale ipotesi, l’attrice ipotizzatasi una risoluzione del contratto per inadempimento alla data del 31.3.2008 tenuto conto della somma corrispondente all’importo finanziato, delle spese di istruttoria, della somma corrispondente alle prime sei rate scadute e della mora dovuta su dette rate, della somma corrispondente alla settima rata a scadere, della somma corrispondente al capitale residuo alla data di risoluzione, della somma corrispondente alla penale prevista, avrebbe subito l’applicazione di un tasso di mora pari al 10,0681% e quindi superiore al tasso soglia di riferimento, pari allo 8,37%.

L’attrice, sul presupposto quindi che gli interessi pattuiti siano usurari, invoca l’applicazione del secondo comma dell’art.1815 c.c., secondo cui, se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi.

Conseguentemente, afferma di avere diritto a vedersi imputato in conto capitale gli interessi fino ad oggi corrisposti alla parte mutuante, con relativa modifica del piano di ammortamento del mutuo rispetto a quello originariamente concordato ed il nuovo saldo del debito, sostiene, è pari ad euro 67.260,50.

Afferma, poi, che l’analisi del contratto ha rilevato un’ipotesi di indeterminatezza dell’oggetto in violazione del disposto di cui all’art.1346 c.c. in relazione all’indeterminatezza del tasso di interesse applicato.

Afferma in particolare che vi sia uno squilibrio determinato da una commissione occulta applicata al contratto, data dal tasso minimo applicato c.d. floor che genera un vantaggio economico solo per la banca e non è contrapposto ad una analoga opzione riequilibratrice a favore del mutuatario.

Il tasso di interesse è stato calcolato tramite una equazione che risulta svantaggiosa per il cliente, posto che gli interessi anziché maturare giorno per giorno di calendario vengono fatti maturare anche per alcuni giorni in più.

In sostanza l’artificio di usare per divisore fisso l’anno commerciale tende a far corrispondere dalla parte mutuataria interessi per aggiuntivi 5 o 6 giorni in più per ogni anno.

Tale criterio contrasta con il principio di cui all’art.821 co.3 c.c.

Risulta anche violato l’art.6 della Delibera CICR 9.2.2000 che stabilisce come i contratti di esercizio del credito debbano indicare la periodicità di capitalizzazione degli interessi ed il tasso di interesse applicato. Risulta altresì violato il disposto del co. 4 dell’art. 17 TUB e risulta pertanto applicabile il successivo comma 7.

Ne consegue, in applicazione di tale disposto normativo la possibilità di rideterminare il piano di ammortamento del mutuo stipulato dall’attrice individuando il nuovo saldo passivo alla data del 30.11.2013 in complessivi euro 74.496,63.

Censura poi la scorrettezza del comportamento della banca e chiede accertarsi che nel mutuo stipulato dall’attrice con la convenuta ricorre un’ipotesi di usura oggettiva in relazione all’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento della mutuataria; dichiararsi la nullità della relativa clausola ai sensi dell’art.1815 co.2 c.c.; dichiararsi la banca tenuta a imputare in conto capitale gli interessi corrisposti dall’attrice in suo favore e ricalcolare il piano di ammortamento rideterminando il saldo passivo in euro 67.260,50; condannarsi la banca al risarcimento del danno per euro 10.000,00; in subordine accertarsi l’indeterminatezza dell’oggetto del contratto in relazione al tasso di interesse applicato e ricalcolarsi in applicazione dell’art.117 co. 7 TUB il piano di ammortamento del mutuo con rideterminazione del saldo passivo alla data del 30.11.2013 in euro 74.496,63 o nella diversa somma risultante di giustizia e condannarsi la banca al risarcimento del danno causato all’attrice.

Costituitasi in giudizio la convenuta ha chiesto il rigetto della domanda attorea eccependo in via preliminare la carenza di interesse ad agire della signora mutuataria rispetto alla domanda di accertamento dell’usurarietà del tasso di interesse, poiché non si è verificata la particolare ipotesi di inadempimento fin dalla corresponsione della prima rata del finanziamento, nonché l’intervenuta prescrizione della domanda relativa ad una asserita responsabilità precontrattuale della convenuta, per essere il contratto di mutuo stato concluso in data 18.9.2007 e la citazione notificata il 28.11.2014, dunque oltre lo scadere del termine quinquennale applicabile ai fini della prescrizione.

La domanda è infondata e va respinta.

La prima doglianza mossa dalla parte attrice concerne la ritenuta usura originaria, in relazione all’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento della parte mutuataria poiché un calcolo simulato del tasso di interesse che la banca avrebbe potuto applicare ove si fosse realizzato un inadempimento della mutuataria fin dalla prima rata di mutuo, la pattuita penale commisurata al capitale residuo del mutuo al momento della richiesta di risoluzione del contratto”, se sommata agli interessi moratori e alle spese avrebbe potuto concorrere a incrementare il tasso effettivo applicato dalla Banca sino al 10,0681% rendendolo ” superiore al tasso soglia di riferimento, pari all’8,37%:

Sul punto è fondata l’eccezione relativa alla carenza di interesse ad agire.

La domanda si fonda su una ipotesi di inadempimento all’obbligazione di pagamento della prima rata del mutuo che è indimostrata e non verificatasi nella realtà, avendo l’attrice sino ad ora pagato le rate del mutuo.

In ogni caso il superamento della soglia deriverebbe dalla ipotetica applicazione della penale per la risoluzione anticipata, la cui natura è ben diversa dall’obbligazione relativa al pagamento degli interessi, stilla cui misura deve misurarsi la soglia dell’usura.

Si osservi che non appare corretta la affermazione secondo la quale l’interesse ad agire sussisterebbe perché la contestazione ha ad oggetto la c.d. usura originaria e postula la valutazione delle condizioni contrattuali come ab origine pattuite: qui, infatti, l’attrice non censura una clausola contrattuale suscettibile di trovare applicazione al contratto, ma una clausola che non ha alcuna possibilità di applicazione, poiché relativa ad una ipotesi che non si è verificata, né si verificherà ovvero quella dell’inadempimento alla prima rata.

In ogni caso deve evidenziarsi la disomogeneità tra la penale e gli interessi e spese che concorrono alla individuazione del tasso soglia.

Ed infatti, l’applicazione della penale, come ben evidenziato dalle difese di parte convenuta, dipende da un inadempimento del mutuatario all’obbligo di corrispondere una rata del mutuo e dalla scelta del mutuante di avvalersi della facoltà di risoluzione del contratto.

La sua funzione non è quella di remunerare l’erogazione del credito, ma di compensare la parte non inadempiente delle conseguenze che derivano dall’inadempimento della controparte.

Non è quindi dimostrato il superamento del tasso soglia e non può pertanto trovare accoglimento la pretesa della conversione del mutuo da oneroso a gratuito.

Sul punto si deve anche osservare, che se anche risultassero usurari gli interessi moratori o la commissione per la risoluzione del contratto (ove la si calcoli secondo quanto voluto da parte attrice ai fini della determinazione del tasso soglia), nondimeno non ne conseguirebbe la nullità di tutte le clausole relative agli interessi: gli interessi corrispettivi, rispetto ai quali nessuna specifica censura è mossa, continuano ad essere dovuti.

L’attrice poi censura una ritenuta indeterminatezza dell’oggetto del contratto, in violazione dell’art.1346 c.c., in relazione all’indeterminatezza del tasso di interesse applicato.

L’indeterminatezza è affermata con riferimento al fatto che il tasso di interesse applicato presenterebbe uno squilibrio contrattuale a favore della banca e a svantaggio dell’attrice, generato da una commissione non indicata in contratto e quindi occulta, della quale la parte mutuataria non è stata resa edotta. Lo squilibrio denunciato sarebbe dato dal tasso minimo applicato c.d. floor.

Tale tasso, sostiene parte attrice, genera un vantaggio economico solo per la banca, poiché non è contrapposto ad una analoga opzione riequilibratrice a favore del mutuatario.

Tale tesi non può essere condivisa.

La previsione del c.d. floor è contenuta in una specifica clausola contrattuale approvata dal cliente: nessuna indeterminatezza, pertanto, e nessuna previsione occulta.

Diversamente da quanto sostiene parte attrice la clausola floor è sufficientemente chiara e ben comprensibile per la cliente e di certo non rientrante nella previsione di cui all’art.1346 c.c.

Quanto alla denuncia di squilibrio contrattuale, trattasi di affermazione infondata: l’ordinamento non prescrive infatti che i contratti di mutuo prevedano oltre a soglie minime di tasso corrispondenti soglie massime. In ogni caso, se anche ricorresse lo squilibrio contrattuale denunciato, esso non comporterebbe la denunciata indeterminatezza del contratto, né dei tassi applicati.

Parte attrice, poi censura sotto il profilo dell’indeterminatezza, della violazione dell’art.821 c.3 c.c., della Delibera CICR 9.2.00, del comma 4 art.117 TUB il fatto che il tasso di interesse sia stato calcolato tramite un’equazione che ha come numeratori algebrici la quotazione Euribor moltiplicata per il coefficiente 365 e come denominatore il coefficiente 360.

Sulla base di questa contestazione pretende l’applicazione al caso di specie del disposto dell’art. 17 co. 7 TUB, per il caso di violazione del quarto comma.

Le disposizioni menzionate non risultano violate.

In primo luogo non vi è correlazione tra l’indicata contestazione del modo di calcolo del tasso e la denuncia di indeterminatezza, anche con riferimento alla auspicata conseguenza dell’applicazione del comma sette.

In secondo luogo non risulta alcuna violazione dell’art. 821 co.3 c.c. e della regola dalla disposizione menzionata secondo la quale i frutti civili (interessi) maturano giornalmente.

 

Quello denunciato, infatti, è solo un criterio per la determinazione del tasso, che non comporta alcuna violazione delle disposizioni invocate dall’attrice.

Parte convenuta ben chiarisce come altro sia la questione relativa alla determinazione della componente Euribor del tasso di interesse e questione distinta sia il parametro temporale, che è espresso sulla base di un anno di 365 giorni.

Decisivo è poi l’ulteriore argomento difensivo che evidenzia come l’utilizzo del coefficiente indicato per la determinazione del tasso recepisca quanto imposto dal Ministero del Tesoro, con Decreto Ministeriale in data 23.12.1998 n. 104344.

Ne consegue altresì l’infondatezza della domanda risarcitoria, non avendo la attrice dimostrato alcuna scorrettezza o violazione contrattuale imputabile alla banca.

La domanda va quindi respinta.

Le spese di lite seguono la soccombenza.

PQM

Il giudice, definitivamente decidendo, ogni altra domanda ed eccezione respinta,

-rigetta la domanda attorea;

-condanna parte attrice a rifondere a parte convenuta le spese di lite, liquidate in curo 7000,00 per compensi oltre spese generali, IVA e CPA

Ferrara, 16 dicembre 2015

Il Giudice

Caterina Arcani